Le giornaliste indiane, scrivere a rischio della vita
L’Uttar Pradesh è una popolosa regione dell’India settentrionale. Nella sua parte più a nord, quella confinante con il Nepal, è interessato dalla catena dell’Himalaya, con le sue cime che svettano oltre gli ottomila metri visibili a centinaia di chilometri di di-stanza. A valle, verso sud, si apre invece una grande e fertile pianura, attraversata dal Gange. Agli inizi del terzo millennio, le donne dei villaggi della zona presero l’abitudine di scrivere su dei foglietti quelli che per loro erano i temi più importanti per le loro comunità: la pompa dell’acqua guasta, le strade dissestate, aggiungendovi ad un certo punto anche i nomi degli stupratori a piede libero. Nel 2002, alcune di queste donne si organizzarono meglio e iniziarono a pubblicare un giornale: un unico foglio ciclostilato che veniva venduto a mano per strada e porta a porta.
Lo chiamarono «Khabar lahariya», ovvero «Ondate di notizie». Poco alla volta, il foglio iniziale cominciò ad allargare il suo bacino di distribuzione, fino a giungere, più a sud, nella regione del Madhya Pradesh, quest’ultima attrasversata da sinuose colline e fiumi rigogliosi. All’inizio, le autorità locali non si preoccuparono granché di queste giornaliste autodidatte, ma presto si videro costrette a rispondere alle lamentali crescenti delle popolazioni, provvedendo quindi ad asfaltare le strade, a costruire bagni pubblici, a rifornire di medici gli ospedali.
La svolta arrivò però nel 2015, quando le due fondatrici del giornale compresero che era arrivata l’ora di “sbarcare” sul web. Così, raccolsero i fondi per acquistare smartphone da distribuire alle redattrici e mandarono le croniste nei villaggi più remoti, lì dove non era mai andato nessun giornalista. A fare quel lavoro che il giornalismo non da scrivania fa fin dai suoi al-bori: consumare le suole del-le scarpe alla ricerca di storie che valga la pena raccontare. Le inviate entrarono quindi nelle miniere dove chi non si adegua, rischia di scomparire nel nulla; andarono ad intervistare i fondamentalisti indù per i quali la vita di una vacca sacra vale più di quella di un musulmano o di una donna.
Fu così che la testata ampliò a dismisura il pubblico dei lettori. Al punto che oggi «Ondate di notizie» costitusce un fenomeno mediatico noto in tutto il mondo. Che può anche vantare un canale YouTube con oltre mezzo milione di iscritti. In questi venti anni la testata ha formato più di cinquecento giornaliste, ed ora in redazione lavorano venti redattrici a tempo pieno. Girano con i treppiedi e i microfoni, prendono appunti, riprendono con i loro smartphone. Il fenomeno ha finito anche per interessare il cinema, tant’è che nel 2021 due registi indiani ne hanno fatto un lungometraggio, «Writing with fire» («Scrivere col fuoco»), primo documentario indiano ad essere nominato agli Oscar nel 2022.
Ovviamente non è stata una strada facile; tutt’altro. La vita del giornale è stata co-stellata di minacce, anche con le pistole in mano, e con tante resistenze dentro e fuori le famiglie delle redattrici. Ma ce l’hanno fatta: la prima testata femminista e tutta al femminile in India. Una storia che ispira il mondo. Eppure, la sua di-rettrice e fondatrice, Kavita Bundelkhandi, che oggi ha 37 anni, ha imparato a scrivere quando era già dodicenne. Il diritto all’istruzione se l’è dovuto infatti guadagnare perché appartiene alla casta più bassa, quella dei dalit. «In India una giornalista dalit – ha raccontato alla Bbc – era inimmaginabile, ma in questi anni abbiamo fatto cambiare idea a tutti».
L’altra co-fondatrice, Meera Devi, caporedattrice del giornale, 36 anni, con due figlie oggi adolescenti, racconta che casa sua era vicina alla scuola: «Quando mia figlia strillava per essere allattata – narra –, mia nonna mi chiamava dalla finestra e io dovevo correre a casa. Le mie compagne mi prendevano in giro». Ora a ridere è lei. Perché le «Ondate di no-tizie» sono ormai diventate un’autorità giornalistica.
«Siamo donne di campagna, delle tribù, musulmane, laureate o semi-istruite. Siamo diverse – spiega Bundelkhandi – perché facciamo cronaca tramite una lente femminista. Amplifichiamo le voci delle oppresse e così fortifichiamo la democrazia».
«Ondate di notizie» non si limita a raccogliere le denunce dei dissesti, le carenze nei servizi, i verbali di omicidi e stupri nelle zone più remote, ma le inviate tornano sul posto per verificare se è stato fatto qualcosa. Si chiama follow-up, on-da su onda,: per documentare blackout, abusi di potere, linciaggi, strade dissestante. «All’inizio gli amministratori pubblici ignoravano anche noi, ora invece ci te-mono».
Il docu-film
Da un lato una redazione di croniste indiane dalit, che portano avanti il loro progetto contro ogni stereotipo e stigma. Dall’altro, i temi dell’India di oggi, dalla violenza sulle donne alla libertà di stampa in pericolo passando per l’ascesa del partito nazional-induista del primo ministro Narendra Modi. Nel mezzo, a fare da testimone e da schermo, un cellulare, strumento principe del giornalismo digitale. C’è anche quest’immagine in «Writing with fire», il film-documentario prodotto e girato da due registi e produttori indiani, Sushmit Ghosh e Rintu Thomas.
Spiega Ghosh: «Siamo sempre stati attratti dalle storie alla Davide contro Golia. Dai gruppi di persone al margine della società che portano avanti una battaglia per il bene della loro comunità».
Protagoniste del film sono le vicissitudini lavorative e quotidiane della caporedattrice Meera, della cronista Sudeeta e delle altre venti giornaliste che animano la redazione e che ne guidano anche la rivoluzione digitale. La camera da presa segue la trasformazione del giornale: dalle riunioni di redazione ai corsi di formazione alle giovani croniste, inizialmente alle prime ar-mi con il cellulare.
«La parte più affascinante – dice Ghsosh – è stata quella che ci ha permesso di seguire la vita quotidiana di queste donne, le negoziazioni che devono portare avanti per gestire la famiglia e intanto lavorare». Secondo il regista, la pellicola ha colpito in modo particolare il pubblico femminile. «Tante professioniste – sottolinea – si sono ritrovate perfettamente nello sforzo per andare avanti nonostante le aspettative familiari, le pressioni a mettere al primo posto la famiglia».
Il film mostra anche i mariti delle giornaliste; la cinepresa li intervista e li sollecita, tra iniziali diffidenze ma un sostanziale, anche se silente, sostegno al lavoro delle mogli. Secondo Ghosh, «si vede una totale sovversione dei ruoli tradizionali, sia nelle relazioni quotidiane che nelle priorità, perché per le giornaliste del nostro film il lavoro viene prima del focolare».
Il docu-film è stato presentato in numerosi festival, tra i quali il «Sundance», la celebre rassegna nordamericana fondato da un paladino dei diritti civili, l’attore Robert Redford.
Secondo Ghosh, la storia delle croniste «è stata anche una tela sulla quale abbiamo avuto modo di rappresentare alcuni grandi problemi dell’India». La cinepresa segue la redazione di «Ondate di notizie» mentre racconta e indaga su violenze sessuali ai danni delle donne dalit, sulle condizioni di vita dei minatori, sul difficile accesso alla giustizia dei senza casta. Le giornaliste documentano anche la campagna elettorale che nel 2019 porta alla riconferma del premier Modi con ampio margine. Il regista si rammarica della sua ascesa e di quella del Partito del popolo indiano con le sue posizioni «populiste», convinto che «la prima vittima della sua esponenziale crescita è stata la libertà di stampa. Oggi – dice – si vedono sempre più media che lavorano apertamente a favore del governo».
Le giornaliste intervistano anche un giovane leader dello «Hindu Yuva Vahini», un movimento di ispirazione nazionalista e conservatore fondato dell’ex monaco induista e attuale governatore dell’Uttar Pradesh, Yogi Adityanath. Ghosh sottolinea che questa regione ha un rilievo particolare: «È la più popolosa, ci vivono oltre 200 milioni di persone e fornisce il maggior numero di posti in parlamento».
Il destino di questa importante regione è in bilico, di-ce il produttore, che ne mette però in luce anche gli aspetti più progressisti: «La storia dell’Uttar Pradesh non è fatta solo di gruppi estremisti, e forse potrebbe non stupire che un laboratorio come ‘‘Ondate di notizie’’ sia sorto proprio qui». Per ben diciassette anni, tra il 1995 e il 2012, una politica della casta dalit, Mayawati, è stata infatti governatrice della regione. Più in generale, continua il regista, «le istanze dalit sono sempre vive in India, basti pensare che l’uomo che è ritenuto il padre della Costituzione, Ambedkar, era un dalit e ha lottato per la loro emancipazione».
Le prospettive all’orizzonte
L’orizzonte, allora, non è fosco: «Questo desiderio di evoluzione trova ciclicamente una forma precisa con la quale si esprime, come è successo con il movimento ‘‘Black lives matter’’ negli Stati Uniti» dice Ghosh. «Ci sono tanti giovani leader, che usano anche i social per dare forza alle loro lotte». Una speranza per un futuro più giusto. Nel quale il giornalismo – e questo è un in-segnamento per molti – ha un ruolo fondamentale, a di-spetto delle tante Cassandre che ne vaticinano le fi-ne, soppiantato, secondo lo-ro, dai social-network, la cui funzione ha invece ben poco a che fare con l’informazione, soprattutto con quella indipendente e non acquiescente nei confronti del potere e delle istitruzioni. Rispetto ai quali il giornalismo sempre dovrebbe essere un «cane da guardia». Oggi, purtroppo, s’è spesso trasformato in un cagnolino da riporto, o peggio ancora in uno che scondinzola prono su un tappettino ai piedi del divano in salotto, pago della sua citola di croccantini e del suo osso finto.